giovedì 28 febbraio 2008

Giuliano Ferrara e i Baruya

In questo periodo sto studiando una popolazione della Nuova Guinea, una tribù, cioè, chiamata Baruya. Furono "trovati" da tale James (o John, non mi ricordo) Sinclair, ufficiale coloniale australiano, nel 1951. Non tedierò nessuno con i dettagli, tra l'altro molto fighi, del loro sistema di produzione di sale vegetale nè della loro industria di utensili in pietra (anche perché quando gli uomini bianchi li trovarono, i Baruya avevano già trovato loro, visto che avevano adottato da alcuni decenni degli utesnili d'acciaio, asce in particolare, forgiate in Inghilterra, che barattavano con i loro vicini della costa in cambio di sale, ed erano, credo, a posto così quanto a rapporti con gli australiani).
Comunque, una delle caratteristiche fondamentali del sistema sociale baruya era una forte gerarchizzazione tra i sessi: le donne non avevano che pochi poteri ed erano sempre sottoposte agli uomini, sotto quasi ogni punto di vista. L'aspetto interessante era che questo dominio si basava sull'idea che i Baruya avevano della procreazione: secondo loro, infatti, i figli crescevano dentro il ventre della madre ma erano prodotti esclusivamente a partire dallo sperma del padre; idem per il latte, anch'esso prodotto sì delle donne, ma a partire dallo sperma ricevuto nel coito. Non ridete. Di conseguenza i figli erano fondamentalmente "proprietà" del clan, o meglio del lignaggio paterno, mentre quello materno non aveva diritti su di loro. Le madri non facevano che crescere i figli fin quando, verso i dieci/dodici anni, i ragazzi non ne venivano allontanati per entrare gradualmente, attraverso un'iniziazione molto lunga e complessa, nel mondo dei maschi adulti. Senza entrare in dettagli oziosi, arrivo al punto.
Nella nostra società, ormai al culmine dell'evoluzione scientifica, tecnologica e culturale, vengono rivendicati (vedi il devotissimo mastodonte Giuliano Ferrara) principi di questo tipo: la donna non ha diritto di scelta in relazione alla vita che essa custodisce in grembo, poiché non è sua ma di Dio, che ha già dato un'anima a quell'embrione. Come tutti sanno, in Italia (ma non solo, ad essere giusti) esiste un largo fronte di persone che rivendicano la dignità legislativa di alcune idee, nè verificabili nè smentibili poiché sono questione di fede, secondo le quali la vita non è cosa umana ma divina, e perciò non spetta a nessuno, né uomo né donna, interferirvi. Neanche i baruya potevano dimostrare le loro concezioni, o smentirle, perciò le conservavano e di conseguenza quelle idee sulla vita continuavano ad offrire un fondamento al loro sistema di dominazione degli uomini sulle donne. Anche da noi, guarda caso, è un istituzione interamente gestita da uomini a pretendere di imporre La verità sui fatti concernenti la vita e la sua riproduzione, poiché quest'istituzione, la Chiesa, si ritiene l'unica mediatrice tra gli esseri umani e la vera forza genitrice della loro vita, cioé Dio. Questa verità, di nuovo guarda caso, implica l'impossibilità per le donne di decidere per i loro corpi, poiché le vite che in essi nascono, o muoiono, appartengono a Dio, verso il quale i rappresentati della Chiesa sono mediatori ufficiali, unici ed indiscutibili. Come dire: niente di personale è Dio che lo vuole, è così e basta. Chissà, magari anche i Baruya non è che ce l'avessero con le donne: non era mica colpa loro se i figli li facevano gli uomini.

mercoledì 13 febbraio 2008

BELLEVILLE: BIRRA E KEBAB-FALCE E MARTELLO

Parigi è una città che è strano chiamare con lo stesso nome con cui si chiama Siena, città, ma la stessa considerazione vale anche per Londra, Berlino, Roma, figuriamoci poi Tokio, New York.... A dire il vero, però, il suo tratto più caratteristico è forse questo, che non ha quasi mai l'aspetto della metropoli: non ti risucchia nè ti fa sentire una merdina. Certo, la gente ti urta mentre cammini e non ti guarda in faccia. Però hai il modo di ritagliarti il tuo spazio perché le strade, i palazzi, le case, sono ad una misura ragionevole: sono costruzioni che salvo qualche eccezione, soprattutto nella parte ovest, cioé quella a sud della torre Eiffel, si fanno guardare e attraversare con un occhio e un passo umani.
Nella mia personale e per ora rudimentale geografia di Parigi ho individuato la mia zona preferita, Belleville.
Belleville è un quartiere popolare, nel 20°, pieno di locali, bar, e ristorantini che vendono, soprattutto, il junk-food etnico che qua domina, l'hamburger dell'altra metà del mondo: Kebab e patatine.
Leo ha fatto amicizia con questi kebabbari, due tipi turchi, uno rasato e uno con il codino e gli occhiali da secchione, che lo hanno preso in simpatia e di conseguenza trattano benissimo anche me. Ci regalano birre e caffé ("Come fai a mangiare senza bere il caffé e dopo una sigaretta?") e ci fanno lo sconto. Il tizio con il codo è arrivato illegalmente in Francia proprio dall'Italia, sbarcando a Brindisi, e rimanendo imboscato per quattro mesi in Puglia. Il racconto nel dettaglio non lo conosco, però vedo il tipo ridere di continuo, soprattutto quando fa suonare una piccola campana che tiene dietro al bancone -da un colpo ogni volta che uno entra o esce dal locale, senza altro motivo apparente che il suo divertimento e quello del compare- dicevo, lo vedo sganasciarsi e mi viene da pensare che deve avere delle ottime ragioni per prenderla a ridere così, a caso.
Il tipo ha preso Leo in simpatia perché l'ha visto andare là a mangiare da solo, per dei mesi, senza sapere praticamente una parola di francese. Forse l'hanno visto in difficoltà, forse hanno sentito qualcosa di simile -magari un'indole mediterranea comune, vai a sapere- però l'hanno sempre trattato di lusso, e me con lui. La prima volta che ci sono andato, li ho visti preparare un piatto da asporto per un tizio, visibilmente un barbone -un clochard, come si chiamano qua- e darglielo salutandolo e accordandosi per il martedì successivo. Semplicemente, danno da mangiare -una cosa ragionevole, ovviamente, non sono l'esercito della salvezza- a chi ne ha bisogno e non può procurarselo altrimenti.
Uno potrebbe pensare che ciò sia casuale: invece non credo. A quanto ne so, Belleville ha perso recentemente lo scettro di peggior quartiere del centro di Parigi a favore di Barbés, zona che conosco meno ma che scoprirò, col tempo. E' stato ed è ancora un quartiere di immigrazione radicata e di lavoro, di miseria e di criminalità, ma anche di radicalimo politico. C'è un locale, di cui non conosco il nome, con una facciata molto particolare, rossa e bianca, sembra una specie di stazione di pompieri, con le scritte sulla facciata fatte di quadratini colorati di pietra. Sopra una delle porte d'ingresso, quella centrale, c'è una striscia di cemento grigio con una grossa falce e martello. Credo fosse la sede del partito comunista, che oggi sembrerebbe diventata un locale ad uso ricreativo. Piccolo il mondo.
Qua nei locali dominano funky e latino americano, o una specie di rock molto cantautoriale, ma fanno concerti allucinanti in posti piccolissimi (a proposito, a marzo ci sono Mars Volta e Blonde Redhead in un posto grande come la Corte); la gente ha bisogno di calore e di sbornie. L'altra sera c'era un concerto di una tizia, solo voce e chitarrista acustico d'accompagnamento, che faceva R'nB. Sembrava Lauryn Hill, anche se un pò meno potente, ma era uno spettacolo, una voce assurda, e faceva pezzi suoi; ha chiuso con dock of the bay di Otis Redding. In quel bar, il Café des sportes, Otis Redding, James Brown e Barry White sono istituzioni.
Ho notato che nelle Università tipo quelle di Ale e di Leo -non la mia, che non era neanche un'università fino a qualche anno fa ma un Ecole, cioé un istituzione superiore, che odio di già- la questione dei diritti sociali e quella dell'integrazione dei figli degli immigrati sono saldate in un pugno chiuso, che mi sembra anche un pugno bello robusto. Molti ragazzi sono nati qua e non riescono a sentirsi francesi al cento per cento. Ma non è un problema di sentire o no. Se prendi la metro da casa mia, verso una qualunque delle periferie, vedi il colore della pelle di chi ti circonda che diventa via via più scuro, in una proporzione che deve essere misurabile in un rapporto matematico. Poi finiscono gli arrondissement, finisce Parigi, e ci sono le Banlieu. Il trucco sta nel non pensare che facciano parte di Parigi. Se non le consideri parte di Parigi, allora è la città perfetta. Se invece ti accorgi che le cartine e le mappe che tieni in tasca finiscono tutte là, alle Banlieu, e che ci manca solo la scitta Hic sunt leones, allora qualche dubbio ti viene. Il fatto è che c'è pressione, una pressione mostruosa, dalle zone intorno al centro. C'è miseria e, non ci sono cazzi, quella non è considerata Parigi. Eppure, la maggior parte delle persone, anche quelle che lavorano in centro, vivono là. Vengono tutti i giorni da quelle zone. Nei treni che vanno in periferia, i train de banlieu, vedi la gente comportarsi in modo diverso rispetto alla normale metro. Quando uno sale sul vagone, soprattutto se è mezzo vuoto, si guarda sempre intorno con dei rapidi movimenti della testa, come a cercare qualche eventuale fonte di pericolo. Se non c'è nessun pericolo in vista, allora si rilassa e, come nel metrò, affonda in qualche musica proveniente dal lettore Mp3, rigoroso, oppure in un libro. Senza mai posare lo sguardo su nessuno. Questo è il metrò: se posi lo sguardo su qualcuno, irrimediabilmente ti arriva un'espressione interrogativa del tipo: "Che cazzo vuoi?". Non è un luogo dove ci si rapporta, si è solo parte del paesaggio urbano. Come un passamano, o un ostacolo. Per questo la gente ascolta la musica, ma c'è un fenomeno più sorprendente: sembra che molte persone abbiano imparato a rimanere in uno stato di dormi-veglia esattamente commisurato al tratto che devono percorrere. All'improvviso, li vedi riaprire gli occhi di scatto, alla loro stazione, dopo qualche minuto di sonno apparentemente vero. Ma il vero problema è che in tutto questo tempo sono stati in piedi.
Dicevo dei figli/nipoti degli immigrati: qua teoricamente c'è spazio per tutti. L'università costa relativamente poco (sui 200 euro l'anno, senza agevolazioni), ci sono aiuti per chi prende in affitto una casa, e così via. Eppure, qualcosa che non va dev'esserci. Se vai a studiare in una biblioteca centrale, zona Sorbona, la percentuale di neri o arabi cala fino ad approssimarsi allo zero. E la cosa non è reale, non è credibile, perché se vai nei campus delle università periferiche, il rapporto si rovescia.
Comunque, tornando a chiacchiere più confortanti, ci sono anche capolavori come il Centre Pompidou, quel mattone gigante di vetro e acciaio con quel tunnel sul fianco, che sembra una specie di lombrico/robot che ci si arrampica sopra. Non è tanto il museo che colpisce, quanto la biblioteca: spettacolare, con libri, giornali, archivi digitali e persino televisioni con programmi da tutto il mondo, in ogni lingua, visibili liberamente - ma liberamente nel senso di gratis, non nel senso che chiunque tu sia non importa, basta che paghi. Non ci sono solo studenti, ci vedi gente di ogni tipo, clochard inclusi, andare là a passare un pò di tempo alla tele o su internet, oppure a leggere e studiare le cose più svariate. E' uno dei pochi posti privi di burocrazia all'accesso, dove non vogliono tessere, permessi, soldi. La mia università ha una biblioteca, ma io non posso andarci, perché è riservata ai dottorandi: peccato, speravo di poter avere qualche privilegio e permettermi così di guardare qualcuno dall'alto in basso. Come quella vignetta di Altan, con il solito omino mostruoso che dice all'altro, più o meno:
"Il mio sogno è andare in paradiso e poi fare tié a quelli che vanno all'inferno"
Ah già, l'Italia...

giovedì 7 febbraio 2008

Citazione del giorno

" Al tizio che mi faceva l' anestesia per la mia operazione al cervello ho detto occhio, amico, non sono un tipo che si fa addormentare facilmente."

Keith Richards,
durante una rilassata e amichevole conversazione con il Piede, che ringrazio per avermi girato la battuta.

mercoledì 6 febbraio 2008

Nota sui commenti ai libri

I commenti sono molto brevi perchè erano modellati sulle dimensioni prestabilite nel blog precedente. Non le ho cambiate perché ho anche una vita da vivere, sopratutto qua a Parigi.

Per commenti e recensioni accurate segnalo due siti:


http://www.wumingfoundation.com/

e

http://www.carmillaonline.com/
Dance Dance Dance, Haruki Murakami


La tentazione di fare battute sul Giappone è forte;comunque,con un gusto dell'horror tipicamente nipponico,il libro sembra cercare di spiegare una paralisi affettiva che mi sembra riguardi un paese intero più che il solo protagonista. Boh!?



Rumore bianco, Don DeLillo

(Per Andre) E' la storia di un professore di "studi hitleriani" in un college americano,la cui vita familiare si intreccia con una faccenda governativa un pelino complessa.Sicuramente è più facile di Underworld,non fosse che per la lunghezza.



Underworld, Don DeLillo

Seguendo la storia di una palla da baseball DeLillo racconta un pezzo di storia americana,ma più che altro l'incessante processo di nutrimento,digestione,deiezione di una società che si riproduce consumando.(Vedi: lo stadio descritto come un organismo!)



Running Dog, Don DeLillo

(Per Andre anche questo) E' uno dei suoi primi libri,una "riscoperta" posteriore a Underworld.Parla del traffico di un filmato che ritrae un'orgia nel bunker di Hitler,subito prima del suo suicidio.Sinceramente, si può anche non leggerlo.




La storia, Elsa Morante

Non ci provo neanche a dire qualcosa.Bisogna trovare le forze per portarlo in fondo.Per me è un libro perfetto: i personaggi e le situazioni ce l'ho ancora vive in testa come se fossi stato nel casermone insieme a Useppe.



Guerra agli umani, Wu Ming 2

Alla ricerca di un'alternativa praticabile.Forse perché è un romanzo "solista",ma di certo è un pò più debole di quelli collettivi.Però l'intreccio e alcuni personaggi,tra cui spicca il facocero, ci stanno eccome!



Storie di ordinaria follia, Charles Bukowski

Hank può anche stare sul cazzo, e il suo può sembrare il classico nichilismo da alcolizzato. Invece secondo me lui amava le persone al punto da non ripudiarne nessuna escrezione, da qualunque zona del corpo umano provenisse...



Come Dio comanda, Niccolò Ammaniti

Un padre alcolizzato,di simpatie naziste, e suo figlio,in una provincia italiana dimenticata dalla tv e dalla politica.Resta Dio,una moneta da lanciare prima di prendere la decisione che cambierà la vita:E' Dio che gioca a dadi o è il caso che gioca a dio?



I ventitre giorni della città di Alba, Beppe Fenoglio

"Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell'anno 1944".Ferretti, con la sua voce meccanica, ha reso alla perfezione il tono da dispaccio militare con cui La Storia prende atto di storie come queste.



Una questione privata, Beppe Fenoglio

E' facile di questi tempi leggere una cosa del genere e pensare di intravedere il lato oscuro della resistenza partigiana. Secondo me va rivendicata la necessità di quella guerra/guerriglia/resistenza... (Vedi I ventitre giorni della città di Alba)



Caos calmo, Sandro Veronesi

L'ho cominciato diffidente ma ci sono rimasto male. Non succede spesso di vedere in un libro tante cose che si hanno intorno. Forse è per questo che non l'ho afferrato bene. Comunque è da leggere.



Il mio nome è rosso, Orhan Pamuk

Non facile, anche perché è un romanzo corale, in cui parlano uomini, cadaveri e disegni. Anche se è un pò verboso le atmosfere sono uniche: una storia di omicidi e intrighi tra miniaturisti ottomani a fine seicento...



Memorie di un soldato bambino, Ishmael Beah

E' una schifezza parlarne in mezzo a romanzi e fiction varie, perché purtroppo è tutto vero.Se lo leggete non vi aspettate una storia lacrimosa,scritta per far piangere a RAI2,perché è un libro che fa male.E basta.



Gomorra, Roberto Saviano

Su Gomorra sono state spese parecchie parole. Spero solo che Saviano riesca a non farsi fagocitare da TV e giornali, che ho paura gli stiano cucendo addosso un personaggino su misura,tipo il ragazzo sveglio e intelligente che dichiara guerra alla Camorra.



La grammatica di Dio, Stefano Benni

A me Benni non fa impazzire. Spesso le immagini sono tirate un tantino troppo, e sembrano un pò forzate. Però alcuni racconti valgono davvero la pena, su tutti il primo e quello del camionista.(Non mi ricordo i titoli)



Cronache del rum, Hunter Stockton Thompson

Cosa faceva Hunter nel '58 a San Juan, Puerto Rico?Beveva rum con ghiaccio a colazione, si barcamenava nel solito giornale sempre sull'orlo della chiusura, e intanto osservava la longa manus del dollaro incombere e macinare...macinare...



Paura e disgusto a Las Vegas, Hunter Stockton Thompson

Per me Thompson sta in alto e non sarò obiettivo.Il libro attraversa,frullandole insieme,le due opposte(?) follie che sono stati gli anni '60 e il sogno americano.Un naufragio del cervello e poi...zac...tre righe e Hunter spiega tutto.Con umiltà.



V per Vendetta, Alan Moore, David Lloyd

Chi ha mai avuto dubbi sulla dignità artistica del fumetto può andare in culo (ora) leggendo V. La grafica (B/N) e la storia non sono facilissime da seguire. Ma voi fidatevi (o no), e arrivate al detective Finch sotto LSD a Larkhill (nel film non c'è)...



Colla, Irvine Welsh

L'ho riletto di recente. Diciamo che se avete mai voluto bene a qualcuno, condividendoci disgrazie e sbroccamenti di cervello dovuti ad alcool e droghe, e se in più sentite il tempo che passa, è il libro che fa per voi (Deru?).



Manituana, Wu Ming

Non so se il libro restituisce davvero quello che si prova stando dalla parte sbagliata della storia,che è per definizione quella perdente.Certo è che questa è un'altra splendida "ascia di guerra", dissepolta e lanciata dritta contro la nascita degli USA



Asce di guerra, Wu Ming & Vitaliano Ravagli

C'è stato un tempo in cui molti hanno buttato nel cesso una vita relativamente comoda per inseguire un'idea di giustizia. Se fosse giustizia giusta o una questione personale è difficile da dire. O forse le due cose non sono separabili.



54, Wu Ming

Sui libri del collettivo la cosa migliore è rimandare al solito wumingfoundation dove ci sono note e recensioni scritte da persone ben più capaci.Una cosa sola: come hanno detto di Bertinotti,ma qui non è uno sfottò: "lotta di classe ma con classe"



Q, Luther Blissett

Andate a informarvi sul sito dei Wu ming. Diciamo che vi cambia un pò di prospettive se avete la pazienza ed il tempo di gustarvelo.

Citazione del giorno

«Prima si vota meglio è, vogliono fare una legge elettorale a favore di qualcuno. Rischiando io pure la galera, forse prima si va al voto e forse c'è qualche garanzia di evitare pure la galera.»

Clemente Mastella,
in un improvviso moto di onestà intellettuale e di odio verso la sintassi della lingua italiana.

martedì 5 febbraio 2008

PREEEEGHIERA!

"Questo è il mio blog...ce ne sono molti come lui ma questo è il mio"

Salve a tutti,
adesso faccio ufficialmente parte dell'esercito di sfigati che possono condividere con gli altri il cazzo che hanno da dire. Come i fucili dei soldati, fabbricati anch'essi in serie, il mio blog è modellato su uno standard comune a milioni di persone. Non solo di forme, ma anche di contenuti: spesso, l'unica cosa che ci rende originali è soltanto il nome, di nuovo, come i fucili dei soldati in Full Metal Jacket a cui vengono attribuiti nomi di fiche, pardon, di donne.

Nonostante ciò, ecco alcuni buoni motivi per questo blog:
- non ho trovato modo migliore per dirvi le cazzate che comunque vi avrei detto anche a voce.
- ero geloso del blog del Tarro.
- così non devo per forza scrivere mail quando ho voglia di dire cose di pubblico dominio/interesse e utilità.
Quindi, siamo a Parigi, io e Ale, e da qua le prospettive cambiano, orcoddìo, se cambiano, come disse il tizio che si arrampicò sulla torre Eiffel per buttarsi.
Mano a mano troverete aggiornamenti, saluti, trojan (o troje?), cazzi e mazzi.

Un normale sabato sera nella terra dei cachi

Qui di seguito il racconto di un mio fine-serata di fine-estate.


Ore 4:00

Riporto il guercio a casa
–Difatti®
[1]- Cazzoholasciatolechiaviinmacchinadimanu – difatti - tiscocciaportarmida Manusenonèunproblema – difatti - almenoleprendoenonsveglioimiei- difatti-
Certo.
Va bene.
L’asciutto e sobrio asceta che è in me lo porta a risolvere la situazione chiavi. Con l’aiuto di Paolo Conte.

Ore 4:20

La situazione chiavi è risolta. L’amico paziente ed affidabile che è in me lo riporta a casa. (Coscienzioso! Ecco la parola!)

Ore 4:30

Il fluido e sobrio pilota avventuriero del sabato sera pensa che la sua ragazza non è in casa perciò non ha motivo di tornarci…meglio un bar, un caffè e una pasta, una storia…una macchina…piantata contro lo spigolo della colonna di un cancello.

Ore 4:32

Il motore è ancora acceso ma dentro la macchina non si vede nessuno. Airbag saltato. Quattro frecce accese. Magari è sceso per chiedere aiuto e telefonare. Starà bene. Il curioso osservatore notturno sorpassa il veicolo lentamente.

Ore 4:32:27

Il cittadino responsabile torna indietro per vederci chiaro. Dentro l’auto c’è una persona sdraiata. Dentro di me non c’è un briciolo della curiosità che mi sarei aspettato. Né del coraggio. Solo la paura di vedere una cosa orribile. E’ una ragazza. Per fortuna si muove. Per fortuna una guardia giurata uscita da nonsoddove chiama il 118. Per fortuna il guardiagiurata è un ragazzo sulla trentina con la divisa piena di pettorali. Purtroppo non ha la minima intenzione di avvicinarsi all’auto. Apro io lo sportello. La tipa mi guarda, semicosciente. Non aveva cintura e ha quasi sfondato il parabrezza, però dal lato passeggeri (“Com’è possibile?” Mi chiedo; “Chissenefrega”, mi rispondo). Giro la chiave e spengo la macchina, il fumo sta penetrando l’abitacolo da sotto il volante (“’ccòddìo”). Aiuto la ragazza a scendere e a sedersi, appoggiata alla macchina.

Ore 4:35

Lei: “’hiamate la mì ami’a Serena…”
Tizio: “Dacci il numero”
Lei: “Mi fa male la spà-lllà…mi sò rotta la spà-lllà”
Tizio: “Si va bene…dacci il numero della tu amica”
Lei: “tre…quattro…nove…zero…sei…nove…uno…nove”
Mancano numeri. Perplessità tra me ed il tizio, un uomo grasso sui cinquanta con il pizzetto che starnazza come una mamma oca (“Dai cicia su…stai bona. Si chiama casa…se i tua li avverte la polizia è peggio...o il pronto soccorso…gli viene un colpo…suuu…daiii…presto presto”)
Lei: “tre…quattro…nove…zero…sei…nove…uno…nove…nove…sei
[2]
Ora si. Numero completo, ma Serena non risponde.
Di ambulanza e caramba nessuna traccia.

Ore 4:42

Nel frattempo si è fermato un tizio, grosso modo la mia età, magro, elegante, tirato, laziale. Un tamarro. Fa subito capire che non ha intenzione di fare niente, né di occuparsi della tipa: è interessato solo ed esclusivamente ai dettagli tecnici dell’incidente.
“Qua ce stà un pezzo de muro” , dice indicando la ruota dietro; “sicché c’era ancora trazione al momento dell’urto…vor dì che andava”.
Intanto io la guardia giurata e mamma oca stiamo a capannello intorno alla ragazza:
Lei: “Aiutami a prènde il telefono…quell’altro in borsa”
Io: “Non c’è un altro telefono c’è solo questo”
Lei: “Mi sò rotta la caviglia”
Ancora nessuna traccia dell’ambulanza. Ovviamente neanche dei carabinieri.

Ore 4:50

Lei: “Mi fa male la spalla e la caviglia”
Cerco di dirle che andrà tutto bene e che non si è fatta niente di grave, ma non vuole saperne:
Lei: “MI FA MALE LA SPALLA E LA CAVIGLIA!”
Ok, vai in culo (naturalmente lo penso e basta, via!, non le avrei mai detto niente di male).
Mamma oca richiama il 118
M.O.: “Presto fate presto la ragazza sta male”
Ha un tono di voce lacrimoso, da libro cuore, mentre io sto covando un odio omicida verso quella stronza ubriaca fradicia che sbraita che vuole Serena
Lei: “VOOGLIO SEREENA”
M.O.: “Serena un c’è tesoro…un risponde…aspetta e stai bona dai”
Ambulanza e carabiniè ancora niente.

Ore 4:55

Arriva l’Ambulanza. I portantini infermieri o come cazzo si chiamano scendono con l’aria di essere appena scesi da un aereo e di vedere un paesaggio sconosciuto per la prima volta. Bahamas. Hawaii. La luna, magari.
Con calma, molta calma, iniziano a tamponare il sangue che le esce dalla testa, con somma gioia di mamma oca.
Arriva anche la stradale. Scende il prototipo di poliziotto meridionale della stradale, il quale prima constata l’assenza dei colleghi rosso/neri e subito dopo guarda me e l’altro tipo:
“Voi tre eravate insieme” riferendosi anche a Marta, l’incidentata. Il punto è che –e lo dico senza la minima acrimonia verso nessuno sbirro (del cazzo)- non l’ha chiesto, l’ha dichiarato: come se, fino a prova contraria, chiunque fosse lì dovesse essere coinvolto. Il sospetto per lo sbirro deve essere come la curiosità per lo scienziato.
“Noi non c’entriamo… ci siamo fermati… prima io poi lui…blah blah bl a h …”
Blah.
Caramba ancora non pervenuti.

Ore 5:00

Serena non c’è però chissaccome c’è Simona, che abita nel palazzo dietro il cancello sul quale si è schiantata l’amica. Chiama Serena, che sta per arrivare. Cazzo che bello cazzo che bello. Di meno bello c’è che ora Marta è immobilizzata con tanto di collare sulla barella e mentre la stanno caricando inizia forse a capire qualcosa e urla, perché non può muoversi e ha paura. Nonostante la sbornia catastrofica, infatti, una parte del suo cervello, quella più animale forse, ricomincia a funzionare ad un livello molto elementare, e le suggerisce che ci sono diverse cose su cui fare mente locale, ma che intanto può cominciare a farsela sotto anche per il solo fatto di non capire perché è immobilizzata e perché la portano via e perché la macchina è distrutta e chi è questa gente e c’è la polizia ma allora è graveSEEEEREEEE!!!!!!
Si, è arrivata Serena: lei la accompagnerà in ambulanza, lei racconterà ai suoi e a lei stessa, l’indomani, cosa è successo, lei le dirà che ha avuto tanta paura, lei la giustificherà ecc, ecc…
Dei carambi ancora nessuna traccia.

Ore 5:02

Proprio mentre la caricano in ambulanza ecco che arrivano, signore e signori, I CARABINIERI. Ahhh, i nostri eroi.
“Cazzochebbotta”
Esclama il primo carobicchiere sceso, che neanche guarda la tizia imbarellata. Io medito se mettermi a impastare una pizza o a suonare il mandolino e, comunque sia, avvio le operazioni di toglimento dai coglioni. Gli stradali spiegano ai colleghi che noi non c’entriamo niente e per questo io li ringrazio ancora. Il tamarro ripete le argute osservazioni tecniche anche con i rossoneri. Aggiunge che il vetro quasi infranto dal lato passeggero suggerirebbe la presenza un'altra persona a bordo, magari scappata. Rimango a bocca aperta. E’ veramente un cretino. Ma si sa, le cronache Italiane sono sempre piene di misteri, destinati ai retroscena delle riviste da digestione pesante, che si sfogliano sfiatando mefitici rutti domenicali. O in sala d’attesa. O sotto l'ombrellone. Magari ne parla a Porta a Porta l’ommemmerda. Chissà. Comunque lo saluto:
“Ciao, piacere…?”
“Nicola”
“Beh, Nicola io sono Filippo e spero (che tu muo…) di rivederti (ma anche no) in circostanze migliori. Vado a nanna”
“Ah no, io me vedo tutto fino alla fine” mi dice, accendendosi la terza o quarta sigaretta.
Lui deve essere uno di quelli, e mi sa che sono tanti, che confondono la pleis-tescion (o prei sexsion, non so bene come si scrive) con la televisione. E la televisione con la vita. E la vita con Lucignolo. A proposito, vado a guardare due fiche alla tele anch’io che mi sono rotto i coglioni (e poi divento moralista).


[1] Difatti ®: all rights reserved to Guercio HC.
[2] Chi mi conosce lo sa: il numero è il mio. Licenza poetica…