martedì 13 gennaio 2009

Una stronzatina tanto per farsi una risata

Basta parlare male di Bocchino, che dopotutto un merito ce l'ha avuto: da quando c'è lui si può dire bocchino in televisione.

QUELLO CHE DOBBIAMO FARE

Il peggio

Ieri c’era in programma all’Arci di Fontebecci un incontro/dibattito dal titolo Ma che razza di parole usi? sul tema del razzismo nella comunicazione, con ospiti di riguardo: Dario Vergassola, Moni Ovadia e il presidente della FNSI, assente giustificato con tanto di presenza via cellulare microfonato, un momento molto Ballarò davvero toccante. Era sostituito da uno che non ho capito chi fosse, un giornalista, comunque. L’ospite di riguardo, almeno per me, era però il moderatore, Stefano Bisi, ambiguo e glabro direttore del Corriere di Siena (“Daino irrompe in un negozio e lo devasta” titolava una sua indimenticabile civetta di qualche anno fa). Il personaggio è uno di quelli ricoperti da un’unta e scivolosa patina di mediocrità mista ad ambiguità. In sostanza è uno stronzo, e per di più incapace di fare ciò che è pagato per fare.
Il Bisi lo aspettavo ad un dibattito pubblico da molto tempo, tanto per chiedergli un paio di cose proprio sul tema del razzismo. L’anno scorso infatti ci fu una polemica a partire da un articolo comparso sul suo Corriere dei Piccoli, in cui si tracciava una mappa della Lizza (centralissimo "parco" di Siena) in cui si descrivevano le varie “etnie” (etnie dell’est, etnie rumene, etnie rom? E l’etnia italiana com’è?) che occupavano i vari punti del parco. L’articolo lamentava poi la massiccia occupazione delle panchine da parte soprattutto delle badanti (ce l’hanno scritto in fronte?). L’articolo denunciava quindi la mancanza di spazio per i “nostri” anziani e per i bambini senesi.
Da notare che l’articolo fu scritto in piena emergenza immigrazione=delinquenza, quando sotto il governo Prodi eravamo minacciati ogni giorno da orde di banditi/stupratori, per lo più rumeni, o Rom che dir si voglia. Per fortuna, con la vittoria del Piddielle alle elezioni, l’emergenza è rientrata (Ai delinquenti devono essere bastate le facce dei nuovi governanti per abbassare la cresta…) Qualche mese dopo la polemica ci fu un nuovo articolo in cui il Bisi in persona reclamava la necessità di "fare pulito alla Lizza" dal degrado dei banchetti e delle libagioni tenute rigorosamente da extracomunitari (o neocomunitari) sulle panchine della Lizza. Una nuova polemica nacque per via del linguaggio truce che era stato usato: “fare pulito” suonava proprio male, per via della palese assonanza con il ben più sinistro concetto di “pulizia”, in questo caso, per l’appunto, etnica. Bisi rispose che chi si era indignato per il suo linguaggio era un ignorante perché lui intendeva “fare pulito”, ma inteso “alla senese”. Qui faccio appello alla conoscenza della mia stessa lingua nativa per dire che “fare pulito” vuol dire recarsi in un luogo e “sbaraccare” o “sparecchiare” diversa roba, oggetti, persone e animali inclusi. In genere si utilizza in accezione bellicosa ed in contesto paliesco, oppure verso la fine di una discreta sbornia, spesso verso fine luglio, quando molti miei concittadini, soprattutto giovani, non cercano altro, per concludere la serata, che di dare un bel paio di cazzotti, a chi non importa, inscenando uno di quei grandiosi psicodrammi etilici a base di onore e orgoglio cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno assistito.
Bisi esordisce proprio citando l’episodio e sostenendo che può accadere che, involontariamente (è chiaro!) anche uno scafato giornalista possa cadere in una trappola razial-linguistica, in cui senza volerlo si discrimina qualche gruppo nazionale o etnico.
“Bene, penso, forse ha voglia davvero di discutere l’episodio”
In effetti afferma poi che con l’articolo intendeva soltanto descrivere una realtà di fatto e che non era colpa sua se il messaggio era stato recepito male. Proprio questo volevo dirgli: tu non puoi nasconderti dietro il dito della descrizione perché se in piena paranoia xenofoba butti fuori ogni giorno titoloni su rumeni, rom, moldavi ecc… che fanno questo e quello, devi sapere che alimenti una tendenza di pensiero pericolosa e purtroppo estremamente diffusa. Altrimenti è troppo comodo dire che se uno spara verso il bersaglio che gli hai indicato tu, la colpa è solo di chi spara. O come dire che è la mano che fa le seghe. Ma questo è un altro discorso.
Insomma, è il contesto che da senso alla notizia: scrivere un titolo tipo “rumeno stupra donna” non è una semplice descrizione di qualcosa, perché il titolo è scelto in funzione di quello che si ritiene sia l’interesse principale da parte dell’opinione pubblica. Il giornalista italiano medio probabilmente non è che ce l’ha con gli immigrati per forza, ma siccome crede che la gente ce l’abbia con loro pensa che un titolo come quello possa suscitare curiosità e indignazione, possa fare effetto, e quindi lo butta là. Se dunque per ragioni essenzialmente di mercato si decide di conformarsi all’opinione pubblica, le cui priorità di pensiero sono quasi sempre dettate dalle agende politiche, ecco che volenti o nolenti, destra o sinistra, sempre su luoghicomuni e stereotipi si ricade.
Confesso che secondo me questa è una teoria un po’ buonista, ma diciamo che il dibattito, sebbene ad un livello di discussione infimo, grosso modo sembrava dover ruotare intorno a questo concetto. In effetti i 4 personaggi seduti sul palco e intenti a passarsi il microfono, di tutto avevano voglia di parlare tranne che di razzismo e mezzi di comunicazione. Vergassola, contro cui non ho niente, non c’entrava nulla con il contesto ma poteva anche essere un buon personaggio, invitato per allentare un po’ la tensione e ammorbidire un dibattito che poteva farsi aspro e pesante, ma che sfortunatamente non c’è stato. Infatti, alla prima occasione buona Bisi deviava sulle domande concernenti i personaggi dello spettacolo professionalmente frequentati da Vergassola, tipo Maurizio Costanzo. Bisi pregustava già il resoconto salottiero che avrebbe fatto l'indomani delle chiacchiere e dei gossip condivisi assieme ai personaggi invitati. Il giornalista professionista (era quello che sostituiva il presidente della FNSI), un tizio che non ho capito chi fosse e che non ha detto niente di interessante (tale e quale un politico del PD), ha cercato in un paio di occasioni di discutere del vero oggetto del dibattito. A vuoto. Vergassola imperversava in monologhi, anche divertenti, ma tristemente fuori tema, mentre Bisi lo incalzava con domande tipo “Ma dicci di Maurizio Costanzo…”
Ad un certo punto, dopo che il direttore del Corrierino ha posto l’ennesima domanda:
E la Ventura?”
si è sentita una voce femminile in mezzo alla sala urlare “Ma chi se ne frega?!”
Scatta la tensione: arriva il Maestro Adriano Fontani, da anni in lotta con l’establishment senese che lo ha privato del posto di insegnante. La complicata teoria del complotto portata avanti da questa persona è interamente narrata su numerosi cartelli che l'uomo porta sempre con se, in ogni occasione pubblica a Siena, e quando può ne tappezza anche il suo pandino bianco. La teoria ancora non l’ho capita, perché i suoi manifesti scritti a mano con l'uniposca sono ricchi di slogan tipo “complotto massonico dei poteri forti Senesi” “omertà da regime stalinista” e “cospirazione con i testimoni di Geova”, ma poveri di filo logico.
Il clima si surriscalda perché il malcontento del pubblico è evidente. Moni Ovadia parla tanto e a proposito, ma di Gaza e di Israele. Sono completamente d’accordo con lui. Parla di Zero, un documentario orribile di Giulietto Chiesa, mandato in onda in Russia ma inedito in Italia. Parla di censure palesi e occulte. Ma non parla di razzismo. Il livello è basso, l’entusiasmo dei parlanti e del pubblico è sotto le scarpe. Aspetto solo il momento delle domande, so cosa dire, ho in mente di far fare al Bisi una figura di merda di quelle colossali. Una figura come un giorno di lavoro, come si suol dire, anche se non so perché. Ecco che però non c’è dibattito. Devono aver capito l’antifona. Diversa gente se n’è andata. Inizio a sbraitare. Il corriere è una merda.


Il meglio

Un tizio seduto dietro a me, alto grosso, occhi chiarissimi, una calma olimpica nei gesti e nella voce, mi appoggia la mano sul braccio e mi fa:
“Ma che è un giornale quello? Ha passato un anno a mette le foto del presidente della provincia., del candidato del Pd alle primarie e neanche una chessò? di quelli che hanno ripulito Piazza il primo dell’anno…oh io sò di sinistra eh ma quel giornale un lo posso legge…la nazione poi figuriamoci! un posso nemmeno vedè il titolo!”
“Oh perché la domanda sulla Ventura? Lui vole fa il salottino buono…”
“Si si delle cazzate e basta vole parlà”
Così si chiacchiera, con questo personaggio. E’ strana l’osservazione che ha fatto sui lavoratori del comune, ma solo per un povero coglioncello come me. La sinistra dovrebbe difendere il lavoro, la dignità del lavoro e di quello che produce, non le cose in quanto tali cioè, ma in quanto c’è stato qualcuno che s’è dato pena di farle. E a maggior ragione il lavoro pubblico, che non è un costo ma un valore, un bene comunitario. Invece si privatizza, perché gli stipendi sono costi e c'è la crisi e c'è l'Europa e che ci vuoi fare.... La sua osservazione era semplice, giusta, figlia di un buon senso che credevo non esistesse più. Invece eccolo lì.
Alla discussione si aggiunge un ometto anziano, con un cappello a tesa larga, nero, e due occhietti azzurri e vispi. Si muove un po’ lentamente, è abbastanza anziano, ma parla deciso e con voce (e parole) ferme. Dice:
“Io gli voglio scrive una lettera al Corriere perché tempo fa hanno fatto un articolo su un repubblichino morto e io non c’ho niente da ridì, ognuno ha fatto le sue scelte quand’era il tempo e s’è preso le sù responsabilità (!) ma nell’articolo ha parlato dei partigiani dicendo che… non mi ricordo che verbo ha usato ma era spregiativo… imperversavano…no com’era? Sà io sò presidente dell’Anpi di Colle e questa cosa proprio non m’è andata bene”
Penso a Veltroni. Penso al presidente dell’Anpi. Cosa hanno condiviso? Mi dice di essere dentro Sinistra Democratica e capisco la sua scelta: molto del buono che è rimasto del Partito è lì. Scambio due parole con la figlia, molto giovane, più o meno la mia età. Mi dice che vogliono rifondare La Martinella, storico giornale socialista di Colle, nato verso il 1870.
“Colle è stato il primo comune socialista d’Italia” mi dice l’uomo.
Eccoci qua. Due generazioni a confronto: una, la sua, che credeva di essersi lasciata il peggio alle spalle e una, la mia, che ha la brutta sensazione che al peggio non ci sia mai fine. Se ha ragione la sua ha torto la mia e viceversa. Ma non è importante questo. La figlia mi chiede politicamente cosa succede, cosa si fa?
Io le dico che non ho tessere ma non so perché e le dico che lei la storia ce l’ha in casa ed è giusto che la prosegua mentre io devo ancora trovare il punto di partenza.
“Giusto” dice lei ”il punto di partenza è l’Anpi.”
L’associazione dei partigiani ha cambiato statuto ed ora ha aperto anche ai giovani. Penso che mi tessero. Penso che non mi tessero. Non mi sentirei all’altezza. Loro hanno preso il mitra e non era cosa che facessero tutti. Essere antifascisti, o antifa, come si dice ora, dopo la guerra è facile. Esserlo prima e durante era altra cosa. E poi ora cosa devo fare? Ammazzare i fascistelli allevati all’ombra di mediaset con il mito del calciatore virile e forzuto? Scontrarmi? Parlare? Di cosa?
Bisi non manca mai di riportare sul Corriere di Siena i comunicati di Casa Pound, tra cui quello del lutto per Jeorg Haider: “La gioventù senese saluta Jeorg Haider” si intitolava. Tocca a noi poi andare a bere una birra al tavolo accanto a bravi giovani, non si drogano e non bestemmiano, per carità, ma purtroppo difendono il totalitarismo fascista e, tra le righe, pure quello nazista.
Guardo Bisi e mi chiedo ancora: chi è quest’uomo? Mi rendo conto solo ora che quello non è neanche del Piddì. Il direttore del quotidiano locale che dovrebbe fare riferimento alla sinistra è tutto fuorché un uomo di sinistra.
Troppi dubbi, troppe poche cose ancora so. Mi rimane ancora qualcosa da dire però. All’incontro c’era un sacco di gente e tanta è rimasta scontenta. Buon segno: vuol dire che volevano sentire qualcosa che non hanno sentito dire. C’era gente che evidentemente cercava un punto di riferimento politico e lo cercava a sinistra. Buon segno. Lo cercava all’Arci. Buon segno anche questo: bisogna prendere le istituzioni storiche e non aver paura di rifondarle e riciclarle. Fare società è l’unica ancora di salvezza secondo me. Penso che tira brutto, è vero, ma penso anche che ci sono un sacco di associazioni piccole e grandi che cercano di portare avanti messaggi, progetti, memorie, principi. Mi dico che è positivo, perché è l’inerzia mediatica e consumistica che va combattuta e ho visto un sacco di gente agguerrita negli ultimi tempi. Non bisogna cullarsi nelle false certezze ma neanche darsi per vinti. Contarsi e organizzarsi. Quello che dobbiamo fare.