lunedì 23 febbraio 2009

QUADROPHENIA


Tra le mie numerose qualità vorrei citare quella di arrivare per ultimo in diversi campi, ma soprattutto in ciò che concerne musica e cinema. Perciò vorrei buttare là due parole su un film abbastanza recente (1979) e poco noto, Quadrophenia, con il preciso intento di dire cose che chi l’ha visto credo capisca da solo, mentre, a chi non l’ha visto, spero di rovinargliene la visione.
Quadrophenia racconta, centrando la narrazione su Jim, un ragazzo inglese, della cosiddetta battaglia di Brighton, quando le due “gang” giovanili, Mods e Rockers, dettero vita ad uno scontro piuttosto violento nella piccola località marittima che ha dato il nome all’episodio.
Il film coinvolge perché, almeno a me, non capita spesso di vedere messo nero su bianco un certo modo di rapportarsi tra ragazzi, con botta e risposta molto realistici, umorismo spontaneo e immediato. Sembra davvero esserci poco di scritto nei dialoghi, o almeno così pare, e si ha spesso la sensazione di trovarsi di fronte ad uno scambio vero, fino, a tratti, ad avere la sensazione più del documentario che del film. Rimane comunque sempre viva, fino all’ultimo, la spontanea simpatia che si prova per i personaggi, tutti carismatici, ben caratterizzati, acuti e con un bellissimo senso dell’umorismo. Geniali come solo le persone vere sanno essere quando affrontano ogni difficoltà con una battuta sempre pronta.
Dal film non si deduce niente di specifico del modo di pensare dei Rockers, poiché al centro della narrazione ci sono, appunto, i Mods, ma sembra che le differenze tra i due gruppi consistano in fattori sostanzialmente estetici: completi classici e scarpe di vernice con giubbotto sul verde tipo rude-boys per i Mods, che si spostavano esclusivamente su Vespa e Lambretta, e giubbotti di pelle, stivali, jeans e capelloni per i Rockers, più sporchi e più americani, che si spostavano su grosse motociclette.
Ora, è possibile che Mods e Rockers fossero (tra) le prime forme relativamente autocoscienti e organizzate di controculture o sottoculture giovanili. I ragazzi sono tutti molto giovani ma sembra che non vadano più a scuola, almeno a giudicare dai protagonisti che comunque lavorano, in genere in piccoli posti, tipo cassiera, fattorino, roba così. A monte, c’è un conflitto con le famiglie, latente o esplicito, e c’è anche volontà di contestazione delle istituzioni e del potere, anche se generica e non politicizzata. Da notare è che i protagonisti non provengono da famiglie povere, i genitori non sono ricchi borghesi ma sembrano piuttosto impiegati e comunque non disagiati economicamente: Jim possiede una camera tutta sua, una lambretta di proprietà, e benché faccia il fattorino non sembrano mancargli soldi per vizi vari, soprattutto vestiti e droghe, che nello specifico sono pasticche, probabilmente amfetamine. Il protagonista non è quindi il prodotto di una condizione di particolare disagio, almeno non economico. I quadretti familiari abbozzati dalla regia puntano il dito, semmai, sulla piattezza televisiva di una vita perfettamente inquadrata e un po’ triste. La ribellione di Jim si scaglia sempre verso i rappresentanti principali di questa normalità insostenibile, genitori e datori di lavoro, la cui autorità è vissuta sempre come oppressiva e penalizzante per i desideri e la realizzazione individuali.
Siamo, mi pare, nel ’64, ed il ’68 sta per arrivare. I Mods, forse, sono stati i primi figli del baby boom (prima degli Hippies) ad incazzarsi contro la società che li ha prodotti, ma senza una coscienza chiara di ciò a cui andare contro, del come farlo, e soprattutto del cosa fare in alternativa. Sono stati, forse, la prima generazione cui sono stati dati tutti i mezzi materiali necessari al successo ed al benessere, a raggiungere la felicità, senza però che di questa felicità venisse loro data una dimostrazione concreta. Una volta sperimentata in famiglia l’alienazione e la solitudine che il benessere materiale si porta dietro (la TV insegna) Jim, come molti suoi coetanei, ha cercato un’altra comunità di appartenenza in cui il piacere e la felicità scorressero liberamente (“We are mods We are mods We are We are We are mods…”).
La battaglia di Brighton, sequenze di immagini davvero spettacolari in cui non c’è un dettaglio che dia la sensazione di una carnevalata, consiste di una serie di scontri itineranti tra i due gruppi, dalla spiaggia fino alle vie della piccola cittadina, dove alla fine alcuni autobus della Polizia riescono ad accerchiare i ragazzi che nel frattempo stavano devastando un po’ di tutto. Molti, tra cui Jim, vengono arrestati e portati via, incluso il personaggio più influente, il più fico, il più tosto, il più Mod: Asso, magistralmente interpretato dalla rigidità scenica di Sting. Seguono processo e rottura definitiva di Jim con la famiglia. Nel frattempo il protagonista ha intrecciato un rapporto con la ragazza più carina del gruppo (hanno scopato in un vicolo durante gli scontri), di cui era innamorato da tempo, e che però gli viene soffiata dal suo migliore amico. Deluso da tutto e da tutti, Jim si è licenziato e non ha testa che per le pasticche, che ingurgita a nastro, insieme a un bel po’ d’alcool. Sta svalvolando e infatti comincia a vivere per strada finché, vagabondando, non trova posteggiata una Vespa che riconoscere essere quella di Asso. Aguzzando lo sguardo, Jim vede Asso nel pieno svolgimento delle sue funzioni: è un facchino d’albergo che trasporta valigioni su valigioni agli ordini di fior di quattrinai e di odiosi superiori, che il nostro Sting palesemente odia ma ai quali, nonostante gli sguardi in cagnesco, non può che obbedire servilmente. E’ il momento decisivo. Bisogna infatti considerare che poco prima, Jim aveva detto alla ragazza, la quale lo aveva scaricato poiché secondo lei stava diventando un pazzo, testualmente: “Non so che mi succede… è che mi sembra tutto sbagliato tranne quello che è successo a Brighton e il processo.”
(Per la cronaca: il processo era stato una specie di farsa chiusasi con una multa che Sting aveva pagato con enorme strafottenza ad un vecchio parruccone di giudice.)
Il mondo di Jim crolla in pezzi. Il suo eroe, il più fico, il più duro (da ridere come tiene testa a tre o quattro poliziotti da solo, incazzato come nessun’altro), il più Mod, è sostanzialmente un servo e tutta la “modezza” del suo stile di vita non cambia questo dato di fatto. Un Jimmy a pezzi ruba la Vespa del suo mito e parte per una folle e decisiva corsa verso gli scogli, a tutto gas. Il finale non ve lo sputtano.

Ho omesso un passaggio del film, praticamente all’inizio, quando Jimmy incontra un suo vecchio compagno di scuola. E’ un personaggio importantissimo per il film anche se appare in due/tre scene soltanto. Jimmy lo incontra in circostanze particolari, senza che i due si vedano, e non si rende immediatamente conto che è abbigliato come un Rocker. Ma la peculiarità del personaggio è appunto quella di non essere un Rocker. “Sono tutte stronzate”, gli dice in sostanza, “siamo tutti uguali e Mods e Rockers sono solo cose fatte per dividerci.” Jimmy ribatte che non è vero e che lui si sente davvero diverso e che l’essere un mod è un modo per affermare questa differenza. Ma ecco che l’altro risponde con un’uscita imprevedibile e geniale: “Io sono entrato nell’esercito per essere diverso.”
Rivediamo il personaggio soltanto altre due volte: una quando Jimmy è nel garage di casa sua e l’amico lo va a trovare in moto: vedendo la moto, Jimmy teme un agguato dei Rocker e lo riceve impugnando una chiave inglese. Il tizio invece è gentile e gli attacca discorso sulla Lambretta, offrendosi di aiutarlo a risolvere un problema (i mods saranno anche più fichi, ma sui motori lo scettro appartiene ai Rockers). Nonostante tutto questo, Jimmy rimane diffidente. Rivedremo il tizio solo quando sarà pestato a sangue, mentre supplica un Jimmy inerme di aiutarlo mentre altri mods gli stanno letteralmente spaccando la faccia. A questo punto, Jimmy si limita a scappare urlando che non lo conosce.
Considero fondamentale l’uscita del tizio sull’esercito: i sodati portano infatti la divisa, che li divide dagli altri soldati e forse, soprattutto, dai non soldati, che però è chiamata anche uniforme, perché infatti li uniforma tra loro. A parte i giochi di parole: un pezzo di ciò che sta dietro agli “stili”, che siano di moda o non di moda, è proprio il bisogno di una comunità di cui sentirsi parte, con cui stabilire legami forti e disinteressati. Forse questa tendenza è più forte nella fase in cui una persona comincia ad emanciparsi dalla famiglia e/o dalla comunità di provenienza, per poi indebolirsi quando le sue energie cominciano ad essere assorbite dal lavoro e/o dalla famiglia. Ma non è detto. Certo è che il senso di appartenenza stimolato dai cori, dai colori e dalle uniformi, è qualcosa di potente, capace di parlare, spesso, alle zone più profonde e “rettili” del nostro cervello di umani e di farlo come nessuna parola e nessun ragionamento, spesso, sono in grado di fare. Forse è un po’ questa la ragione per la quale, a voler indagare razionalmente, le differenze sostanziali tra Mods e Rockers sono difficili da comprendere. Jimmy stesso capisce che la solidarietà tra Mods si esprime al massimo quando c’è da picchiarsi contro i Rockers, e questa solidarietà coincide con un principio da rappresaglia: “Voi avete pestato uno di noi e noi pestiamo uno di voi”: chi, come, dove, quando, diventano fatti irrilevanti, contano solo i colori, l’algebra elementare della faida, e, soprattutto, il legame che scatta e si rafforza in mezzo a tutto questo. Non è un caso che la ragazza di cui Jimmy è innamorato lo scarichi per il suo migliore amico, e che nessuno dei due si faccia grossi scrupoli: entrambi ritengono che Jimmy stia esagerando con le droghe, con le feste, sempre nel mezzo, sempre a fare casino. Mentre gli altri sembrano, in certe situazioni, saper mantenere una certa distanza dall’essere mods, riuscendo in qualche modo a dimetterne le vesti che, appunto, in fondo sono soltanto vesti, Jimmy sembra invece “crederci”, sembra sentire che c’è qualcosa di grosso, di importante ed eterno che li riguarda e li coinvolge tutti attraverso il loro essere mods.
Dietro a questa percezione che ha Jimmy del loro essere Mods c’è una tendenza alla ribellione contro una società gerarchizzata ed oppressiva, e questo è chiaro. Eppure l’essere Mods non offre una vera via di fuga a tutto questo, poiché anche il più mod di tutti, Sting, in fondo è solo uno che fa un lavoro da schiavo, che prende soltanto ordini da persone che odia, ma del cui denaro ha tuttavia bisogno.

La moralina che se ne può trarre, che farebbe felice ogni buon padre di famiglia, è che dalla vita non si scappa e prima o poi i conti con le necessità si fanno tutti, nessuno escluso. In effetti è qui il nodo nevralgico del discorso che volevo fare. I Mods, come gli Emo, i Punk, i Figli dei fiori, sono forme di aggregazione simili, anche se diverse nei contenuti e nei principi base. Tutte hanno una vena contestataria verso qualche istituzione (o contro tutte), e quindi un intrinseco valore politico. In Italia, per esempio, la politica ha aggregato spesso, soprattutto i giovani, in queste forme: fascisti e comunisti, soprattutto da giovani, lo sono tutti o quasi, anche se spesso più per gonfiare il petto che altro. La chiave è sentirsi inclusi, parte di qualcosa che va verso qualcosa, ma cosa e dove, spesso, sono questioni secondarie e non espresse nemmeno dai diretti interessati. Gli Ultras sono un altro esempio di quanto possa essere vuota e pretestuosa un’identità collettiva (appartenenza, fedeltà ai colori cittadini) che si pretende essere il presupposto dello scontro, mentre invece ne è il prodotto, poiché senza scontro, come senza cerimonia, senza culto dei morti, senza canzoni, quell’identità non esisterebbe affatto.


Le identità collettive sono un’arma potente, qualcosa con cui, soprattutto di questi tempi, bisogna fare i conti. Nel caso di Jimmy rimango ambivalente: da un lato ammiro il potenziale che i mods hanno, e la cui carica violenta e distruttiva non è che un aspetto tra gli altri. Dall'altro però ho la sensazione che tutta quell'energia sia sprecata. Jimmy contesta della società quello, grosso modo, che contesterei io, solo che non se ne rende conto. Un posto di merda e una vita destinata alla tristezza e alla solitudine del piccolo agio, quale quella ricevuta in eredità da lui va stretta. Jimmy però non ha cercato un modo di vivere alternativo e conforme ai suoi ideali e non l'ha fatto, credo, perché neanche sapeva quali fossero i suoi ideali: sapeva che era un mod, che aveva dei nemici, degli amici, e che la vita a cui era destinato non gli andava bene. Quello che mi viene da criticare a questi pseudomovimenti è esattamente questo: hanno la capacità di reagire, di sentire che ci sono cose che non vanno, ma non elaborano mai nulla, tutto si perde nei contorni fumosi della libertà di gusti, di pensiero, di espressione, di "stili di vita" ("Quadrophenia: A Way of Life"). Da praticare, ovviamente, solo nel tempo libero, perché quando si lavora si lavora, e bisogna obbedire. E più si è costretti a obbedire, più ci si incazza fuori e più si idealizzano quelle poche finestre di comunanza e solidarietà, affinità, gioia, che si provano insieme agli altri. Salvo poi trovarsi incazzati, in mezzo a qualche macello, senza aver capito bene come tutto sia cominciato e come sia stato possibile arrivare fin là. Si, la sensazione di Jimmy, alla fine, credo sia più o meno questa. Ed è esattamente il tipo di sensazione che non voglio (più) provare.