venerdì 10 ottobre 2008

LA NEOCULTURA FASCISTA E IL MITO DELL'ORDINE

Decidere di fondare un coordinamento antifascista può dare la sensazione di qualcosa di anacronistico, tanto quanto fondarne uno fascista. Sembra di passeggiare tra i relitti della storia, tra idee, simboli, parole che sembravano consegnate per sempre, appena poco tempo fa, ai libri ed ai musei. Purtroppo non è così, e non lo è per diverse ragioni che mi piacerebbe provare a spiegare.

Qualunque appello al passato, ad una tradizione, ad una storia, ad una mitologia, affonda le sue radici nel proprio presente. Sono bisogni del presente che spingono il nostro sguardo al passato. Le simpatie fasciste, radicate nel mondo politico ed in questo governo in particolare, ma crescenti nella società e soprattutto nelle realtà giovanili, oggi, non rimandano praticamente a nessuno degli aspetti politici del regime fascista storicamente esistito. I punti caldi della società e della cultura in cui tendono a manifestarsi idee e pratiche di stampo fascista sono punti che non trovano, se non in modo marginale, qualche punto di connessione con il regime. Un esempio evidente è la questione dell’immigrazione: il riferimento al fascismo, celato o esplicito nei tanti atteggiamenti di xenofobia che vanno dalle più sottili discriminazioni fino alle pesanti aggressione sofferte dagli extracomunitari, rappresenta l’appello nazionalista ad un’ideale di superiorità della propria comunità etnica. Non vi sono però pratiche né progetti politici di derivazione fascista che servano ad affrontare, o anche a reprimere, l’immigrazione, tranne forse le leggi razziali, che pure non erano rivolte ad immigrati. Com’è dunque che nella condizione presente si ritrovano delle risonanze con il fascismo, allora?

Un nodo centrale credo risieda nel mito dell’ordine. Il militarismo fascista era una passione per l’ordine, la disciplina e la gerarchia, forse prima e più ancora che per la violenza,. Le divise, le parate militari e tutto l’armamentario estetico del regime erano richiami, appunto, ad un ordine regolato e controllato dal potere politico. L’aspetto totalitario del regime stava nel suo pervadere la totalità degli aspetti della società e della vita delle persone ad esso sottoposte. Questa passione per l’ordine spesso si esprimeva, fortunatamente, in un’obbedienza di facciata, in un rispetto puramente formale ed esteriore per le regole e per il potere, dal quale nell’intimo e nel privato, molte persone, mantenevano comunque una certa distanza ed autonomia di pensiero. E’ stato questo, probabilmente, che ha permesso al regime di cadere dando la sensazione di “squagliarsi come neve al sole”.

Ciò che, forse a torto, si è ritenuto ormai conquistato dopo il crollo del regime e la nascita della Repubblica è il rifiuto dell’ideale totalitario. Caratteristico della democrazia liberale, come sistema politico, è l’assenza ed il rifiuto, sanciti dalla costituzione, di un potere politico tanto invasivo da regolare ed ordinare secondo i propri criteri, quali che fossero, le esistenze dei singoli, come era invece tipico dei regimi totalitari, ad esempio. Occorre però dire che sotto molti aspetti è stato il mercato con i suoi dettami e le sue regole, a sostituirsi al potere politico, o a combinarsi con esso, per formare la struttura della società. Una vera libertà è ben lungi dall’esistere realmente. Eppure qualcosa è accaduto, qualcosa che appare, ed è, un miglioramento rispetto ad un regime totalitario: le libertà individuali, soprattutto politiche e religiose, sono state affermate fino a un punto dal quale sembra (e sottolineo sembra) difficile tornare indietro. Non pare in effetti che la maggior parte delle persone che pure appoggiano questa svolta autoritaria nella società italiana siano tanto interessate alla “certezza” dell’egemonia culturale e politica propria di un regime totalitario. In effetti, queste convergenze tra la neocultura del fascismo ed il fascismo storico non sono sempre esplicite. Sono forme subdole di richiamo, e forse non sempre consapevoli. E’ un atteggiamento verso la società che spinge verso queste posizioni. Ed in effetti ci sono, addirittura, vecchi militanti del P.C. che appoggiano le posizioni xenofobe della Lega, senza percepire contraddizione tra l’aver, un tempo, combattuto il fascismo e l’appoggiarlo sotto nuove forme, oggi.
Qual è allora il tipo di sicurezza che cercano nel richiamarsi a pratiche ed idee di stampo fascista?

Innanzitutto è un bisogno nevrotico di ordine. La differenza, in particolare somatica e linguistica caratteristica degli stranieri, è indice di una situazione di mutamento. E’ come se si percepissero due liquidi, di colori diversi, che si stanno mischiando e se ne cercasse disperatamente di impedire la fusione, perché non si riesce a capire quale sarà il colore del liquido che si otterrà alla fine del processo. Spesso, è vero, può trattarsi anche di guerra tra poveri, come si dice quando si parla della concorrenza che i lavoratori, spesso di fascia bassa, si fanno a vicenda per ottenere le briciole della ricchezza che producono. Eppure, la cosa più triste è che nella maggior parte dei casi il fastidio verso gli immigrati è un fastidio più “visivo” che fisico, qualcosa che si forma più nel contatto che nello scontro. C’è un ordine che viene a mancare, quindi, una condizione, illusoria, di purezza originaria, che si sente essere venuta meno e della quale si vorrebbe il ripristino.

Ed è qui che credo si stabilisca una particolare sintonia tra la condizione del presente e la cultura autoritaria del fascismo, quella specie di risonanza che fa sì che molte persone e molti giovani in particolare, anche nella più beata ignorata della storia, trovino negli slogan, negli atteggiamenti e nelle pratiche del fascismo qualcosa che appare loro sensato e coerente con ciò che hanno intorno e che vivono. Qualcosa che riesce a parlare loro. Il fatto è che il fascismo è costituzionalmente nostalgico, perché in cuor suo si illude di essere una forza che ripristina una condizione di ordine e di splendore storicamente venuta meno. E’ un mito di riscatto e di salvezza attraverso la forza dell’autorità.

Nella presente situazione di mutamenti economici e sociali, l’eliminazione della diversità in quanto tale, è il primo elemento di questa reazione.

Un secondo elemento può essere la continua ed ossessiva affermazione di regole, che sembrano offrire un’ancora di salvezza a coloro che non riescono a pensare e ad agire in un mondo diverso da quello a cui sono abituati. Questo secondo aspetto può sembrare marginale, ma è tanto pericoloso quanto sfuggente. Basti pensare alle crescenti limitazioni della vita sociale. Gli spazi comuni sono continuamente regolamentati da divieti di ogni tipo. Il solo fatto di vivere momenti e spazi delle città e delle giornate diversi rispetto a quelli “normali”, come le strade di notte, per esempio, è sempre più visto con sospetto e timore, anche in città, come Siena, in cui davvero si fatica a trovare giustificazione per la crescente percezione di insicurezza. Il “decoro”, parola sempre più ricorrente nelle lamentele delle cittadinanze come nelle ordinanze dei comuni, è il concetto che meglio esprime questa strisciante tendenza all’autoritarismo. Come se cartacce, bottiglie, schiamazzi –persino il mangiare in pubblico!- fossero sintomi di una qualche pericolosa degenerazione della società. Eppure è così che vengono vissuti. C’è anche quindi il moralismo di pura facciata, efficace nel trasmettere un’ideale di ordine piuttosto che nel rispettarlo, a caratterizzare le tendenze fasciste del presente collegandole con quelle del regime ispiratore.

C’è poi un altro fatto connesso a questo. Questa tendenza alla pulizia ed all’ordine tende, se non mira esplicitamente, a far sì che la vita sociale ripieghi sempre di più nel privato. Solo nei locali, pagando e consumando, si sta insieme. Oppure in casa. Magari davanti alla televisione. La passione autoritaria non fatica mai a seguire i dettami del mercato e degli interessi. In alternativa, solo con il beneplacito delle istituzioni si può accedere a qualche spazio di aggregazione chi non gode della loro approvazione, come gli irregolari, è bandito da ogni forma di vita sociale.

Ribellarsi a quest’ordine significa rivendicare il bisogno di autonomia nella creazione di luoghi, tempi e modi dello stare insieme. Significa cercare formule di convivenza e condivisione spontanee, aliene ad ogni forma di discriminazione razziale, di genere o quant’altro.

Sta nascendo: http://antifasiena.wordpress.com/: Seguitelo; speriamo che vada lontano, o almeno da qualche parte.