venerdì 29 agosto 2008

“La discriminazione in base all’efficienza non è meno deprecabile di quella compiuta in base alla razza, al sesso o alla religione. Una società che dia
spazio solo ai sani, ai perfettamente autonomi e funzionali non è una società degna dell’uomo”


Giovanni Paolo II (non mi sono convertito, del papa amico di tutti i dittatori penso quello che pensavo prima. Però sono d'accordo con questa frase.)

lunedì 4 agosto 2008

NOSTALGIA CANAGLIA



C'è stato un tempo nella mia vita come in quella di molti, in cui esistevano gli eroi. Era l'epoca in cui Kurt Cobain cercava di dimostrare, forse senza saperlo e forse senza riuscirci, che la rabbia di un ragazzino deluso può non trovare soluzione, mai, e può rimanere pura, ingenua e intatta anche dentro uno tra i dischi più prodotti e commercializzati della storia, Nevermind. Era l'epoca in cui Dave Grohl rispondeva a Bono degli U2 che lui ascoltava solo il fottuto punk-rock. Prima ancora c'era stato Sid Vicious e i Pistols, con la sua cintura-cartucciera con le siringhe al posto delle pallottole (l'ho sempre immaginato così, come la caricatura che c'è sulla copertina di The Longest Line dei Nofx). C'era stato, per l'appunto, Fat Mike che conosceva in carcere, di notte, dopo che era stato arrestato per ubriachezza molesta o roba del genere, quel tizio ispanico basso e tatuato, che sarebbe diventato El Hefe, pilastro melodico del suono dei NOFX. C'erano stati tutti loro a popolare mitologie e fantasie mie e di milioni di ragazzetti.


La fede cieca nei musicisti era la cosa migliore e insieme peggiore che ci potesse essere: migliore, per la sincerità della passione che esprimeva; peggiore, perché io come molti altri ci mettevamo due secondi a trasformare uno stile musicale in uno stile di vita o di pensiero, per poi fregiarsi dei suoi simboli più vuoti o esteriori: capelli lunghi, corti, creste, colori, pochi piercing (all'epoca), magliette, spille e altre puttanate così. Avevamo bisogno di identità, di valori e di significati da dare, semplicemente, al cazzo che ci andava di fare, e così prendevamo le mitologie più a buon mercato. Il senso glielo davi te, in fondo, sebbene occorresse omologare i gusti. Tipo: i Nirvana sotto la Sub Pop erano meglio (beh, certo...), Incesticide ne era la prova, e così via, tra ortodossie ed eterodossie più o meno sensate. L'infamia peggiore che ci potesse essere era cominciare ad ascoltare un gruppo apprezzandone le produzioni più recenti e più famose (che invece di solito è la regola). Se si parlava, raramente e solo per pochi secondi, come di un parente scomodo, dei Green Day occorreva precisare che il proprio interesse per loro era nato dall'ormai ancestrale Insomniac, piuttosto che dal tormentone Basket case; nel caso, occorreva correggere il tiro associandoli ai più duri e puri Rancid, o agli Operation Ivy. Il fatto è che la musica ci serviva a questo. A creare mondi e storie da cui prendere valori, raccontando aneddoti ed associando la musica alle nostre o altrui imprese, possibilmente le più strampalate o improbabili. Associavamo, credo, suono e attitudine rock ad un senso di rivolta generico, ma circostanziato di volta in volta. Ed il rock per molti aspetti era questo: energia vera, spinta verso obbiettivi e traguardi più o meno concreti. Il brutto, come dicevo prima, era usarlo per umiliare gli altri, per giudicarli, per misurarsi con loro e contro di loro in un gioco molto talebano alla purezza estetica e spirituale dell'ascoltatore, del punk, del rocker.


Ebbene, una delle cose di cui sono più felice e fiero, e me l'ha fatta ricordare una persona poco fa in un messaggio, è l'aver gettato via l'acqua sporca, cioè la corazza di pregiudizi e di identità che prima cercavo nella musica, ed aver salvato il bambino: la musica. Tutta. Da un po' di anni ho ascoltato e provato ad ascoltare tutto, ho scoperto nuovi miti (e qualche falso dio), ed attualmente trovo un enorme soddisfazione nel cercare per ore musica nuova, sul computer o sulle bancarelle, poco importa. Scopro piste. Collegamenti inaspettati. Rimandi su rimandi, come a cercare un disegno che si presente ma che non si trova mai. E' il tipo di ricerca, credo, che da più soddisfazione. Questo passaggio ha avuto un ulteriore pregio: riesco a condividere qualcosa un po' con tutti, anche con i miei peggiori nemici di un tempo, i metallari e i jazzisti. Mi viene il dubbio infatti che il problema non fosse il tipo di musica, ma l'uso che ne facevo e che ne facevamo. Segni e strumenti di separazione, piuttosto che di unione. Non avevo capito che potevano essere veicoli di un senso di unità nella condivisione.


Per esempio: chiunque conoscesse abbastanza bene i Nirvana spero si ricorderà dell'ultimo riffone di aneurysm, in cui dopo il crescendo riparte il giro con delle parole nuove. Parlano di una donna. Chi si ricorda come ripartiva la canzone, con quelle parole, spero si emozioni un po' a ripensarci. Io si. Dicevano "She keeps it pumping straight to my hearth", lei continua a pomparmelo dritto al cuore, con quella potenza di suono sotto. Sembrava di sentire Lei che con quella canzone spingeva il sangue nel cuore e muoveva tutto. Era proprio questo che provavo ascoltando quel pezzo e spero che a qualcuno, da qualche parte, a ripensarci, gli si smuova un po' il cuore. Se è successo, almeno un pochino, allora è vero tutto quello che ho detto. Altrimenti, siete degli animali.

CITAZIONE DEL GIORNO

"Non esiste un mondo la fuori dove tutto va meglio, c'è solo questo… solo questo grande sasso."
Sean Penn, La sottile linea rossa.