domenica 6 aprile 2008

LA BUONA FEDE DI CHI CREDE IL VERO

Allora: leggete questo bell'articolo di Loiodice su Carmilla e poi tornate qua.

http://www.carmillaonline.com/archives/2008/04/002599.html

Quello che intende dire è qualcosa di abbastanza simile a quello che ho provato a dimostrare scientificamente anche io, sputacchiando e urlando a destra e a manca nei post precedenti; in altre parole, il fatto che la fede di Ferrara, come quella di molti altri, è sotanto un modo per ottenere condiscendenza da parte dei poteri, in questo caso, le gerarchie cattoliche. Ma il suo caso è secondo me ben più pericoloso.
Per sua stessa ammissione, pare che Ferrara sia un ateo devoto, cioè una persona che non crede in Dio ma che è ugualmente disposta, ne è anzi felice, a riconoscere un qualche primato alla chiesa cattolica. In questo caso, quello dell'aborto, si tratta di riconoscere alla chiesa un primato etico sulla società. Come dire, a me non interessa dio come essere supremo, come entità trascendente o quant'altro, ma solo come fonte di una morale, cioè come fonte delle regole funzionali al mantenimento ed alla gestione di un ordine sociale. Come dire, mento sapendo di mentire.
Ateo devoto significa quindi che anche se non credo che dio ci sia, sono comunque disponibile a comportarmi come se ci fosse. E questo perchè credo che siano tempi malati, "scristianizzati", ecc...
Di nuovo, si aderisce ad un sistema di regole per avere dei vantaggi, certo: Ferrara è stato comunista, craxiano, berlusconiano, ora clericale, e chissà cosa ci riserva il futuro..., ma non è detto che i vantaggi del credere siano immediati, siano soldi, siano potere.

Infatti, a parte l'opportunismo che è comunque una cifra di quest'epoca -leggere per credere lo scandalo dell'Università di Bari, mi sembra, sulla compravendita degli esami, per l'appunto, di economia- non è detto che si sia sempre in mala fede. Infatti, si può aderire ad una fede anche perchè si ritiene o si sente che ciò che quella fede sostiene sia vero. Cioè farlo in buona fede. Salvo poi credere che da questa verità dovrebbero derivare tutte le altre conseguenze: comportamenti, leggi, ecc...
Se andate su youtube, è pieno di filmati sull'aborto sotto ai quali utenti di ogni tipo, vi spiegano quante cellule ci vogliono per fare una vita. Scientificamente. Eppure, a loro sfugge il punto. E il punto è che queste concezioni qua, qualunque esse siano, se diventano legge, vanno ad appoggiare un ordine sociale e dei poteri precisi, che regolano la vita scegliendo sul corpo e nel corpo delle donne.


Ci sono due aspetti diversi, quindi: le verità e le loro conseguenze.

In effetti, il problema dell'aborto, non è tanto, secondo me, un questione di definire cosa è vita o cosa non lo è; e neanche di dimostrarlo su basi scientifiche, oppure di esserne convinti per atto di fede.
Il problema è che se io accetto "Quella" definizione di vita, tolgo automaticamente alle donne la possibilità di scegliere, e le lascio, una volta incinta, in balia dei poteri e delle forze che le circondano; nove su dieci, trattasi di poteri maschili, sotto forma di famiglie di provenienza, oppure di famiglie ancora da costruire. Il trucco sta nel rendere le donne dipendenti, e così facendo, costringerle ad appoggiarsi su qualcuno o qualcosa che le aiuti. Se non è lo Stato, è la famiglia, e questo, di nuovo va a vantaggio di un potere costituito. Nel migliore dei mondi possibili, si potrebbe anche dire che le donne possono benissimo cavarsela da sole. Però non è così, e il diritto all'aborto è una brutta parola che rappresenta l'antidoto pragmatico ad uno stato di cose che è malato alla radice. Se le donne avessero concreta libertà e potere di fare da sole, potrebbero anche non avere bisogno di questo diritto.

Buonafede o malafede, atei devoti o cristiani devoti, fascisti covinti oppure solo per tirare a campare, si tratta sempre della stessa cosa. Appoggiare un ordine sociale, appoggiare dei poteri, in nome di una verità, oppure di un calcolo, fa differenza soggettivamente, magari, ma all'esterno l'effetto è identico.
L'unico antidoto a questo dilemma tra buonafde e malafede sarebbe riprendere un 'eredità del '68, cioè un occhio attento a ciò che accade intorno, la sensibilità per le conseguenze politiche di ciò che succede. La coscienza politica. Di tutte le cose perdute, questa mi sa che sarà quella che più delle altre dovremo rimpiangere. La gente mi sembra infatti che non ce l'abbia, perché vedo che i ragionamenti vanno sul livello della verità, del "Voi allora cosa credete? Spiegatecelo a Noi! E poi si letica...".
Le opinioni servono a fare barricate, ed anche questa è malafede. Oppure, si difende la bandiera dela libertà d'opinione: "Io credo quel che mi pare, se secondo me è così che male c'è. Ho tutto il diritto."
Si, infatti; poi però quando si rompe tutto, i cocci li raccolgono sempre gli altri.