giovedì 28 febbraio 2008

Giuliano Ferrara e i Baruya

In questo periodo sto studiando una popolazione della Nuova Guinea, una tribù, cioè, chiamata Baruya. Furono "trovati" da tale James (o John, non mi ricordo) Sinclair, ufficiale coloniale australiano, nel 1951. Non tedierò nessuno con i dettagli, tra l'altro molto fighi, del loro sistema di produzione di sale vegetale nè della loro industria di utensili in pietra (anche perché quando gli uomini bianchi li trovarono, i Baruya avevano già trovato loro, visto che avevano adottato da alcuni decenni degli utesnili d'acciaio, asce in particolare, forgiate in Inghilterra, che barattavano con i loro vicini della costa in cambio di sale, ed erano, credo, a posto così quanto a rapporti con gli australiani).
Comunque, una delle caratteristiche fondamentali del sistema sociale baruya era una forte gerarchizzazione tra i sessi: le donne non avevano che pochi poteri ed erano sempre sottoposte agli uomini, sotto quasi ogni punto di vista. L'aspetto interessante era che questo dominio si basava sull'idea che i Baruya avevano della procreazione: secondo loro, infatti, i figli crescevano dentro il ventre della madre ma erano prodotti esclusivamente a partire dallo sperma del padre; idem per il latte, anch'esso prodotto sì delle donne, ma a partire dallo sperma ricevuto nel coito. Non ridete. Di conseguenza i figli erano fondamentalmente "proprietà" del clan, o meglio del lignaggio paterno, mentre quello materno non aveva diritti su di loro. Le madri non facevano che crescere i figli fin quando, verso i dieci/dodici anni, i ragazzi non ne venivano allontanati per entrare gradualmente, attraverso un'iniziazione molto lunga e complessa, nel mondo dei maschi adulti. Senza entrare in dettagli oziosi, arrivo al punto.
Nella nostra società, ormai al culmine dell'evoluzione scientifica, tecnologica e culturale, vengono rivendicati (vedi il devotissimo mastodonte Giuliano Ferrara) principi di questo tipo: la donna non ha diritto di scelta in relazione alla vita che essa custodisce in grembo, poiché non è sua ma di Dio, che ha già dato un'anima a quell'embrione. Come tutti sanno, in Italia (ma non solo, ad essere giusti) esiste un largo fronte di persone che rivendicano la dignità legislativa di alcune idee, nè verificabili nè smentibili poiché sono questione di fede, secondo le quali la vita non è cosa umana ma divina, e perciò non spetta a nessuno, né uomo né donna, interferirvi. Neanche i baruya potevano dimostrare le loro concezioni, o smentirle, perciò le conservavano e di conseguenza quelle idee sulla vita continuavano ad offrire un fondamento al loro sistema di dominazione degli uomini sulle donne. Anche da noi, guarda caso, è un istituzione interamente gestita da uomini a pretendere di imporre La verità sui fatti concernenti la vita e la sua riproduzione, poiché quest'istituzione, la Chiesa, si ritiene l'unica mediatrice tra gli esseri umani e la vera forza genitrice della loro vita, cioé Dio. Questa verità, di nuovo guarda caso, implica l'impossibilità per le donne di decidere per i loro corpi, poiché le vite che in essi nascono, o muoiono, appartengono a Dio, verso il quale i rappresentati della Chiesa sono mediatori ufficiali, unici ed indiscutibili. Come dire: niente di personale è Dio che lo vuole, è così e basta. Chissà, magari anche i Baruya non è che ce l'avessero con le donne: non era mica colpa loro se i figli li facevano gli uomini.